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La condivisione di oggi è tratta dal libro, “E se la morte fosse un bosco?”, di Gabriele Ventura e Chiara Scardicchio.

“Non me l’aspettavo davvero, quella mattina, a colazione, che quegli occhi che avevano sempre fatto domande, mi facessero proprio quella, la domanda più grande, e dolorosa, di tutte.

La più antica, quella su cui uomini e donna si interrogano dall’inizio dei tempi, e soprattutto: la domanda a cui è più delicato e complesso offrire risposte, non solo ai bambini ma anche a noi stessi.

Non mi chiese perché si muore: mi chiese se lui ed io saremmo morti.

Sentivo forte la tentazione di dirgli” Non ci pensare, andiamo a giocare”: è sempre così convincente la tentazione di offrire ai bambini solo fate e fiori, soffrendo nel raccontare anche di mele avvelenate, orchi, draghi e boschi con ponti levatoi da attraversare.

Mi feci coraggio e gli dissi che sì, la morte è.

Quel salto nel vuoto fu davvero un ingresso nel bosco: dove lui mi portò, dove in fondo ogni figlio e ogni figlia ci porta.

Gabriele è il primo autore di questo libro perché è lui che mi ha portato all’attraversamento nel bosco, e dove mi porta sempre, in molti modi, da quando mi fa domande.

Perché è proprio lì che portano le domande delle bambine e dei bambini, e in particolare proprio quelle che è più difficile sentire: nel bosco, quel luogo interiore dove tutti diventiamo esploratori, cercatori, eroi che al cospetto del drago e del buio imparano che il segreto della vita è anche la morte.

E che il segreto della bellezza è nella ricerca, ovvero in quella parola piccola che in questo libro risuona più volte: tutto non è solo in un modo, nel modo con cui appare, tutto è anche molte altre possibilità. E così ti succede che puoi imparare a vedere anche al buio, anche il buio”.

Chiara Scardicchio

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