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Fran Pintadera

Nascere su un’isola è una cosa strana. Penso sempre che, se fossi nato qualche passo più a destra o qualche metro più a sinistra, sarei uscito dalle strade di Las Palmas di Gran Canarie e sarei nato in mare. Se così fosse stato, forse ora sarei un pesce. Questo implicherebbe cose stupende, come vedere barriere coralline o immergersi per ore senza dover risalire per prendere aria. Certo, d’altra parte non potrei scrivere racconti e, se lo facessi, si convertirebbero tutti in carta bagnata. Brutta cosa.

Per fortuna sono nato sulla terraferma, dove molto presto ho preso una matita e con quella ho cominciato a scrivere storie.

Il primo linguaggio scritto è stata la poesia, un modo preciso e delizioso di comunicare con se stessi, con le persone che ti sono vicine e con quelle che non conoscerai mai. Dopo sono venuti i racconti, i romanzi, il teatro e qualunque forma artistica in cui la parola si sentisse comoda.

Perché piangiamo? È nata dall’istinto. A volte una persona cerca le parole esatte per raccontare una storia, però in altre occasioni (e queste sono le migliori) sono loro che ti portano alla scrivania e ti dettano ciò che devi scrivere. In questo racconto, un po’ poetico, cerco di rispondere alla domanda di un bambino che potrebbe essere mio figlio o me stesso di qualche anno fa. O forse, senza saperlo, ho scritto questo racconto precisamente e unicamente per te.

Ana Sender

Ho pianto per la prima quaranta anni fa, in una città alla periferia di Barcellona. Qualche tempo dopo ho dimenticato come si piange e come si parla. L’unica cosa che mi ricordavo era come si disegna, e così disegnavo le parole che non uscivano e le lacrime e le grida che avevo ingoiato. E anche stelle, streghe, case, principesse e scimmie.

Questo era tanto tempo fa e ora mi dimentico di parlare solo qualche volta e ho imparato a piangere in molti modi diversi. Ne ho addirittura inventato qualcuno nuovo, per esempio facendo la verticale.

Un giorno scoprii che potevo andare in una scuola per imparare a essere illustratrice e mi buttai a capofitto. Credo che fosse una scuola magica. Così ancora disegno e ora lo faccio anche per guadagnarmi da vivere. Ho cominciato disegnando motivi per le stoffe, ma oggi la cosa che faccio di più è illustrare racconti e addirittura a volte mi azzardo a scriverli.

Disegno anche per piacere quando non riesco, o per parlare, quando non trovo le parole. Moltissime volte lo faccio per giocare. Mi piace quando la casa si inonda e si devono improvvisare barche con i mobili.

 

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